Il signor S. è convinto di essere il problema, è lui la ragione per cui tutta la sua famiglia è in terapia. “Non ne sia così sicuro”, risponde Minuchin con altrettanta convinzione.
L’incipit di “Famiglie e Terapia della Famiglia” mette in discussione la certezza inscalfibile che a lungo ha prevalso in ambito psicologico: l’intrapsichico, l’individuo singolo ed isolato, è il depositario della patologia. Con quell’affermazione Minuchin ribalta le posizioni in gioco e colloca la sofferenza della persona entro un certo contesto, quello delle relazioni familiari.
Si parla di terapia strutturale, in quanto al centro vi è la struttura che caratterizza ciascuna famiglia, un’impalcatura che la sorregge e ne definisce il modo specifico, e allo stesso tempo universale, di funzionare.
Durante il suo lavoro alla Wiltwyck School for Boys, Minuchin si confronta con giovani autori di reato e comincia ad interessarsi al contesto, sociale e familiare, dal quale provengono. Osserva quanto importante sia poter descrivere la struttura di queste famiglie a partire da un’idea fondamentale: l’identità individuale come prodotto transazionale del contesto a cui il ragazzo appartiene. Si trattava di famiglie molto povere, che avevano lo scopo di arrivare a fine giornata. L’organizzazione interna era caratterizzata da forti separazioni tra i membri, difficoltà di comunicazione e sintonizzazione empatica. Allo stesso modo, tanto erano rigide le mura interne, tanto labili i confini esterni.
Anni dopo, Minuchin diventa direttore della Philadephia Child Guidance Clinic e viene a contatto con una realtà completamente diversa: se alla Wiltwyck le famiglie si caratterizzavano per un’invalicabilità di confini interni, alla Child Guidance i confini erano eccessivamente penetrabili.
Si tratta di due estremi di uno stesso continuum, relativo proprio al concetto di struttura familiare. Da una parte l’invischiamento, dall’altra il disimpegno: ciò che li differenzia è proprio la permeabilità dei confini interni, i quali permettono la distinzione tra molteplici sottosistemi familiari. Dove i confini sono eccessivamente permeabili ciò che riguarda l’uno, riguarda tutti e ciò che manca è la possibilità di differenziarsi. Quando Ida si sposa, Pascoli la accuserà di tradimento, tradimento di quel nido familiare che si era distrutto con la morte del padre e che aveva caratterizzato poi relazioni fortemente invischiate. Se la membrana che separa all’interno la famiglia, però, è totalmente impenetrabile, succede che le tensioni che riguardano un membro non possono entrare in quello spazio condiviso che è la relazione. C’è un alto grado di autonomia, ma ciò che manca è un senso di appartenenza. È lo stesso senso di appartenenza che manca a ‘Ntoni, protagonista del celebre romanzo di Verga “I Malavoglia”, che lo porta a lasciare Aci Trezza, la sua famiglia, le sue origini; quando torna, però, si riscoprirà solo, senza più radici su cui poter contare: “mentre il cane gli abbaiava dietro, e gli diceva col suo abbaiare che era solo in mezzo al paese. Soltanto il mare gli brontolava la solita storia lì sotto, in mezzo ai fariglioni, perché il mare non ha paese nemmeno lui”.
Tanto la differenziazione quanto l’appartenenza sono pilastri su cui si fonda l’identità e sono necessarie entrambe per definirla. Ruolo del terapeuta è quello di costruire confini, andando a chiarirli laddove si confondono e ad avvicinarli laddove non si toccano.
Lo scopo quindi della terapia strutturale è rendere l’organizzazione familiare sufficientemente flessibile da poter far fronte alle diverse richieste provenienti sia dall’interno che dall’esterno. Lo strumento attraverso cui agire è il presente: fondamentale è far accadere in seduta, passando proprio attraverso l’azione. L’utilizzo che Minuchin fa dello spazio, ad esempio, spostando le sedie o cambiando i posti a sedere, permette di agire i confini familiari. Quando Montalvo sposta Mandy, paziente designata, accanto alla madre e allontana Morris, figlio genitoriale, sta favorendo la transazione madre-figlia e contemporaneamente sta bloccando l’interferenza del fratello maggiore.
Il terapeuta, quindi, si associa alla famiglia e poi agisce per ristrutturarla.
Wisława Szymborska dice che “conosciamo noi stessi solo fin dove siamo stati messi alla prova”: così la famiglia, solo mettendola alla prova può scoprire nuove risorse su cui far leva per affrontare i cambiamenti e sperimentare nuovi modi di stare in relazione.